CONSAPEVOLEZZA DI MORIRE
Indipendentemente
da quello che sto facendo, lavorando, conversando, riposando o
passeggiando, sono consapevole della realtà della morte. La morte
occupa costantemente un angolo della mia coscienza. Mi sembra di
contemplare la morte spontaneamente senza nessuna iniziativa conscia.
Non c’è nessuna agitazione o ansietà, solo curiosità e perplessità.
Nascono spontanee le domande: che cos’è la morte, che cosa significa,
che cosa si sente?
Mi
sento sicuro che un giorno ci sarà la morte, almeno per una qualche
parte di me. Sento come se tentassi di afferrare col mio cuore e la mia
anima che cosa sarà la morte, ma senza successo. Sento che la morte mi
sta fissando in faccia tuttavia l’intera questione della morte sembra
inconoscibile e misteriosa. Continuo a chiedermi: è una perdita di
sensazioni, una perdita di confini, una perdita di capacità mentali
perché non ci sarà più un cervello?
In
generale mi sento in pace e contento. La mia vita è piena e completa.
Ma sembra che questa completezza e soddisfazione siano la ragione per
cui la mia coscienza sta spontaneamente contemplando la questione della
morte. Non è un preoccupazione morbosa, ma un desiderio genuino di
fronteggiare qualcosa di significativo in un modo che non ho mai osato.
Voglio conoscere la morte, perché la sento così vicina. Voglio sentirla,
gustarla, toccarla, esserci in intimità. La mia anima è una domanda
bruciante sulla morte.
Ho
preso l’abitudine di passare un po’ di tempo da solo, la notte, stando
quieto con me stesso, senza fare nulla di particolare, lasciando che
l’esperienza si manifesti e godendo la contemplazione di qualunque cosa
l’Essere presenti. La contemplazione della morte è quasi una sensazione
palpabile. La contemplazione della morte mi appare ora come il
dissolversi dei veli. Mi rendo conto che in questi giorni di
contemplazione della morte sono passato attraverso questi veli e li ho
dissolti. Ogni domanda, ogni realizzazione, ogni sensazione, ogni intuizione muove la coscienza attraverso un altro velo.
Ho continuato a contemplare la morte attraverso i veli delle mie idee e
mentre la mia coscienza affonda più profondamente nella contemplazione
strappa veli ulteriori permettendo una penetrazione più profonda nel
mistero. Ora questa penetrazione rivela una nerezza che penetra attraverso tutte le apparenze fisiche.
Sto guardando la morte dritto in faccia. Vedo morte dappertutto,
tutt’attorno a me, che penetra ogni cosa. A questo punto la mia
coscienza è riempita da parecchie intuizioni che creano una comprensione
complessiva e favoriscono una continua contemplazione. Dapprima sono
consapevole di un riconoscimento diretto e spontaneo della mia mortalità
come essere umano. Per me, come mi vivo come essere umano, la morte è
certa.
L’oscurità
della morte viene percepita come più spessa e molto più profonda di
questa oscurità della notte, ma le due sono diventate una e io sono
avviluppato da una nerezza che continua ad approfondirsi.
SOLITUDINE E PRESENZA
E’
questo che è la morte: solitudine totale. Di fatto non è che il
riconoscimento della mia già esistente solitudine fondamentale, la
solitudine dell’Essere. Sono
solo, nella morte. La mia esperienza della mia esistenza è tutto quello
che c’è e questa esistenza è la presenza della morte stessa. La consapevolezza ora è che il volto della morte è solitudine, una pura solitudine colma di pace.
Comincio a sentire una squisita intimità, come se gli atomi della mia coscienza fossero diventati la sua essenza. La morte sembra coincidere sia con l’intimità che con la solitudine.
La misteriosa nerezza della morte mette insieme solitudine e intimità
unendole in una sola qualità. Nel cuore c’è un’intimità dolce e delicata
mentre contemplo la morte e vedo la presenza della nerezza.
Contemplando
l’intimità e la dolcezza che mi pervadono il petto mi rendo conto che
il mio corpo ha perso i suoi consueti confini, ora è tutta l’esistenza.
Sono la stanza, ogni cosa nella stanza, e ogni cosa al di là della
stanza, tutto come una sola presenza. Il senso di quello che sono è una presenza immensa, adamantina, cristallina, una totalità indivisibile.
Questa totalità che vivo come il mio corpo è tutto l’universo. E,
curiosamente, nella posizione del mio petto fisico questa unità di
esistenza è una dolce intimità. La contemplazione della morte mi ha
condotto alla misteriosa nerezza che soggiace a tutta l’esistenza e
questo mi ha reso possibile fare esperienza dell’unità dell’essere come
il mio corpo.
Ora
il mio senso di identità è con qualcosa che nessuno può supportare.
L’essere è il suo stesso supporto e più riconosco che è il mio vero sé e
identità più i sostegni del mio vecchio sé se ne vanno. Si manifesta
vulnerabilità assieme a un senso che non ci sia nessun terreno su cui
stare. Questo diventa rapidamente una perdita del senso di sé, un
sentirsi perso, non radicato, non centrato.
Mi
rendo conto che i problemi relativi al sostegno sembrano importanti
solo quando penso che sarò ancora qui per un po’ di tempo. La
contemplazione della morte espone il familiare senso del sé e dissolve i
suoi sostegni abituali.
Questa
contemplazione comincia anche a mettere in evidenza la consapevolezza
dei miei attaccamenti sensuali: al contatto fisico e sessuale, al cibo,
al divertimento e alla comodità. Mi sento incapace di rompere questi
attaccamenti. Talvolta sento che non voglio romperli perché amo ancora
queste cose. Mi sembra che dietro questi attaccamenti ci sia qualcosa che ancora non comprendo, qualcosa di reale.
La
contemplazione della morte mi porta alla mente molte recenti perdite di
sostegno, il senso di essere perso, di non avere un’identità o un
centro.
Mi ricordo come ancora non sono disponibile a lasciar andare alcune
delle cose che amo nella mia vita. Inaspettatamente la mia coscienza si
immerge nel silenzio dell’assoluto. Ora c’è profondità e intimità,
mistero e radiosità. Come questo misterioso silenzio vedo che tutti i
fenomeni sono un apparenza scintillante che sorge dalle mie profondità
misteriose. Questa apparenza è luminosamente bella, penetrata dal nero
mistero. Sono solo il testimone di tutta l’apparenza che si srotola di
fronte a me, incluso il movimento della macchina e le braccia che
tengono il volante. E’ un mondo incantato.
Rimanendo
con questa comprensione e cercando di non cambiarla mi rendo conto, con
mia sorpresa, che semplicemente amo l’assoluto. Non sono interessato in
nessuna delle squisite qualità e manifestazioni dell’Essere. Amo solo
l’assoluto, la notte luminosa.
Vedendo
questo, divento consapevole del manifestarsi di un amore gentile e
dolce che addolcisce questa parte dell’anima. L’anima diventa un’anima
dolce e soffice. Mi rendo conto di stare sperimentando l’amore
dell’anima per la sua sorgente, natura e casa. In quanto anima talvolta
confondo questo amore per un desiderio degli oggetti sensuali del mondo.
Ora non sono nessuna delle manifestazioni squisite dell’Essere, non
sono il mistero dell’assoluto, sono un essere individuale, un’anima che
ama l’assoluto. Mi vivo come un’anima, reale nel regno delle anime, ma
concettuale a un livello più profondo di verità.
Tutto
appare luminoso e radioso, sorgendo dal silenzio. Sono radiosità
strutturata della sua stessa natura. Il silenzio ci circonda; le
conversazioni sono suoni strutturati che nascono da dentro di esso. La
mia mente è vuota e quieta, anche se continuo a parlare.
L’ANIMA PER L’ASSOLUTO
L’assoluto è molto più grande dell’anima, infinito; e l’anima è una formazione delicata che emana da esso, una sua estensione.
L’anima è quasi come un’immagine sulla sua superficie. Sono sia l’anima
individuale che l’assoluto infinito, paradossalmente compresi come uno.
L’esperienza
è sottile e intima, e in questa intimità c’è un amore delicato. E’
un’esperienza completamente interiore tra me e la mia sorgente, come un
matrimonio intimo.
Comincio
a sentire chiaramente che quello che voglio è vivere nell’assoluto. Non
voglio che il resto della mia vita sia solo un’esplorazione del suo
regno.
Essere a casa significa essere inseparabili dall’assoluto, non solo dentro di esso.
Vedo
che ora la mia funzione è di essere una bocca per l’assoluto. Sono
un’espressione dell’assoluto, un’espressione che rivela la sua verità,
la sua maestà, che parla da questo mistero. Comincio a capire che tutta
la conoscenza che ho incontrato sull’anima e il suo sviluppo è
secondaria rispetto a vivere nell’assoluto.
La
scoperta dell’assoluto ha accelerato lo sviluppo dell’anima e sono
state rivelate molte cose. Prima l’Essere aveva manifestato molti dei
suoi aspetti e dimensioni, rivelando una sorprendente vastità di
conoscenza precisa attraverso squisite esperienze dell’anima. La porta
della conoscenza dell’Essere è aperta per me ormai da molti anni. Tutto
quello che devo fare è esser interessato e focalizzare la mia
attenzione di indagine su un’area particolare e si manifesta la
conoscenza esperienziale.
Mi
rendo conto che tutte queste esperienze e conoscenza sono
un’esplorazione del regno, la manifestazione dei tesori latenti nel
mistero assoluto. Vedo ora che questa esplorazione è identica allo
sviluppo dell’anima, portando alla sua realizzazione dell’assoluto e
alla sua maturazione finale. E’ chiaro che questo sviluppo dell’anima
non è solo per il suo sviluppo e la sua realizzazione: è perché possa
servire l’assoluto, esprimendolo, incarnandolo nel mondo. L’anima
maturata è il veicolo attraverso cui l’assoluto vive e agisce nel
mondo. Come potrebbe altrimenti l’assoluto camminare e parlare?
Poiché
come individuo umano ho ancora del tempo da vivere, voglio vivere
purificandomi e sviluppandomi per poter diventare capace e degno di
servire l’assoluto, di essere un suo strumento efficace. La conoscenza
guadagnata è per potere guidare altri allo stesso scopo. In altre parole
non vivo per me stesso ma per il mistero assoluto. L’assoluto è il sé che vive la vita personale dell’anima.
Da: “Luminous Night’s Journey”
Commento:
è il diario che porta Almaas a scoprire il vero senso di essere qui
come presenza del Nulla- che si conosce con la "morte" - e all’aprirsi
al servizio che fiorisce ogni volta che si perdono le barriere del
piccolo sé. E’ un percorso personale e le realizzazioni sono in parte
specifiche alla sua storia, mentre il regalo finale, la stabilizzazione
nel Sé, è il destino di noi tutti, il matrimonio mistico.