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SHIKANTAZA - Jim Slogan

Nello zen hanno una pratica che chiamano Shikantaza. Anche chiamarla una pratica è già improprio, perché in realtà significa “non fare nulla”. La traduzione letterale è “stare semplicemente seduti”.
Che cosa significa? Un modo di capirlo è vedere che in ogni cosa che facciamo c’è uno scopo. Meditiamo per diventare illuminati, o andiamo a lavorare per guadagnare del denaro, o usciamo con gli amici per divertirci. L’attività finalizzata pervade ogni cosa.

Può essere anche molto sottile. Possiamo meditare e guardare semplicemente il respiro o ripetere un mantra o anche solo essere testimoni del nostro flusso di pensiero, e tuttavia c’è ancora la sensazione di un’attività che ci porterà da qualche parte. Riusciremo a concludere qualcosa. Costruiremo un impero, o cresceremo dei bambini, o una casa, o supereremo i nostri problemi legali o qualunque altra cosa.

La definizione stessa di Io, il sé, colui che decide, quel qualcuno che vive una vita personale, è che ci sia qualche attività, qualche manipolazione da qualche parte, per raggiungere qualche scopo. E tutto quello che facciamo, non importa quanto sottile, rinforza questo concetto che noi esistiamo come entità separate.
E’ qui che entra il Shikantaza. Nel Shikantaza semplicemente ci sediamo e dimoriamo nella pura consapevolezza. Non c’è alcuna tecnica che ci sostenga, che ci aiuti a proseguire. Nessuna osservazione deliberata del respiro, nessuna recita di mantra, neppure l’indagare su un koan o l’osservare deliberatamente la mente. C’è solo pura consapevolezza, nient’altro.

Lo scopo più sottile che il sé si ponga, è di diventare risvegliato o illuminato. Tuttavia l’atto stesso del fare una qualunque cosa per diventare illuminati, crea una sottile dualità che rinforza il sé separativo. Io sono qui e l’illuminazione è lì.

Io sono su questa sponda e ho bisogno di andare sull’altra sponda, quella dove io sarò realizzato, risvegliato, liberato.

Tuttavia gli esseri che diventano liberati dicono delle cose molto strane, come: “ogni essere è già illuminato”. Budda stesso ha detto così. Che cosa intendeva? Dopo tutto, mentre ci impegniamo nelle nostre attività quotidiane, con il suo peso di pressioni e responsabilità, non ci sentiamo per nulla illuminati. Ma forse è proprio il sentire una separazione tra il risveglio e questa vita quotidiana, che crea quella dualità che ci fa credere che il risveglio sia su un’altra sponda.

Quello che il Budda e gli altri indicavano è che l’altra sponda è questa sponda, proprio la sponda su cui siamo, questa stessa vita che stiamo vivendo, proprio questo minuto, proprio questo secondo, con tutti i su e giù, i successi, i fallimenti: la vita di questo momento è la vita da risvegliato. Siamo già risvegliati, in questo momento, da sempre e per sempre. Il mistero inafferrabile è che chi siamo veramente è il mistero inafferrabile. E’ vivere la vita in noi e in quanto noi, ed è sempre intrinsecamente libera perché questa è la sua natura essenziale.

Lo Shikantaza cattura questa cosa, perché non ha scopi, non ha dove andare, nulla da conseguire, nessuna attività di nessun genere, neppure la più piccola tecnica che lo sostenga. Non c’è nessuna istruzione. O, detto in altri termini, l’unica istruzione è “stai semplicemente seduto”. In quello “stare semplicemente seduti” diventiamo consapevoli della consapevolezza stessa, che non ha bisogno di nessun sostegno, di nessuna tecnica, per essere se stessa, nemmeno dello stare semplicemente seduti, che la mente può cercare di trasformare in una tecnica per arrivare da qualche parte.

Nella consapevolezza pura non c’è nessuna idea di “Io”, nessun concetto di una persona che agisce, di un sé separato che decide tentando sempre di arrivare da qualche parte nel prossimo minuto o nel prossimo anno. C’è solo la consapevolezza stessa, che si manifesta in questo momento ordinario, in questa vita ordinaria. Non c’è alcuna separazione tra quella sponda e questa sponda.
Questa stessa vita è l’altra sponda. Il mistero inafferrabile mentre vive attraverso te e me, nella forma di me e te, è sempre illuminato e completamente libero, anche mentre corre per prendere il treno o si scoraggia quando perde qualcosa.

In questo momento, proprio in questo respiro, possiamo vederlo, sentirlo, diventare consapevoli che non c’è dove andare anche mentre il movimento continua. Poiché l’inafferrabile è già dappertutto dove ha bisogno di andare? Poiché è già ogni cosa, che bisogno ha di conseguire qualcosa?   E tuttavia la danza continua.

Questo non può essere capito dalla mente, con delle idee o afferrandosi a dei concetti intellettuali.
Tuttavia il tuo cuore può diventarne consapevole in questo stesso momento. Infatti è già così.