Lasciare andare la contrazione del sé separato
E’ evidente che ognuno nel viaggio di trasformazione deve affrontare il problema della sua morte.
Non è sufficiente essere semplicemente un testimone del cosmo perché
questo implica una specie di sottile ritiro dall’esistenza e una sottile
contrazione del sé separato: bisogna vedere attraverso l’illusione del sé separato.
L' “incontro” dell'autore con la morte dell’ego:
“Mi
risvegliai all’improvviso preso dal terrore. Potevo vedermi aggrapparmi
a un sé che cercava di sopravvivere per sempre. Era come se il sé
potesse lottare per un eternità per continuare ad esistere ma vivendo
continuamente nella paura della sua estinzione. Era una sensazione
terribile di terrore considerare che il sé potesse rimanere senza fine in
uno stato di totale paura. Potevo capire con chiarezza che non c’era
nulla a cui afferrarmi; che “l’assoluta mancanza di speranza della
situazione, mollai tutto o, meglio, il lasciar andare accadde
spontaneamente. E allora, all’improvviso, ci fu una vasta immobilità e
silenzio”.
Mi sono lasciato andare e mi sono rilassato in questa nuova consapevolezza che per questo corpo morire qui e ora è una cosa
appropriata, che è per questo che sono qui. Questa non è stata una
rassegnazione a qualcosa di non voluto ma un’accettazione di tutto cuore
e un arrendersi nella gioia di quello che sento giusto e perfetto. Così
‘facendo’ in pochi attimi l’intero pensiero e sentimento e
i sintomi fisici di estrema paura per la mia vita si sono dissolti e
hanno fatto spazio a una pura accettazione gioiosa che neanche la
certezza della morte hanno potuto togliere”.
Il lavoro per risolvere la contrazione del sé separato
Molti
terapisti si sono risvegliati a intuizioni simili alla mia: si sono
mossi al di là dell’illusione di un sé separato. Pendergast aveva
parlato di psicologi transpersonali che individuavano la coscienza
non-duale come uno stato sperimentato raramente al culmine della
realizzazione di sé. Tuttavia una nuova generazione di terapisti e
insegnanti sta cominciando a vedere quanto sia accessibile la coscienza
non-duale nel lavoro psicoterapeutico coi clienti.
La
coscienza non-duale è al cuore di innumerevoli cammini verso
l’illuminazione incluso il Vedanta indù, molte scuole di buddismo, il
cristianesimo mistico, il giudaismo e l’islam. Si riferisce alla
comprensione e all’esperienza diretta della coscienza fondamentale che sottostà alla distinzione apparente tra percepiente e percepito.
I terapisti transpersonali che abbracciano la tradizione non-duale
possono dimorare semplicemente nella presenza: essi realizzano, almeno
in parte, che non sono limitati al ruolo di “terapisti” (anche se
possono funzionare in quel ruolo) e nemmeno di una “persona”. La
localizzazione della loro identità è o il dimorare nel o il muoversi
verso la coscienza non condizionata, o Presenza.
Il risultato è l’emergere di un semplicità naturale, trasparenza, chiarezza e calda accettazione di qualunque cosa si manifesti dentro di loro e i loro clienti.
Poiché sempre di più non si prendono per un qualche “cosa” non prendono
neanche i loro clienti per oggetti separati da loro stessi. Capiscono
che non c’è uno specchio separato e un qualcuno che viene specchiato;
c’è solo il rispecchiare (la coscienza è il testimone di se stessa N.d.T.)
La
psicoterapia implica tipicamente un lavorare nella dimensione
orizzontale, con l’evoluzione della vita fenomenica nel tempo e nello
spazio. La coscienza non-duale si riferisce a quello che è senza forma
ed esiste fuori dallo spazio-tempo, aggiungendo quindi una dimensione
verticale. In aggiunta Pendergast ha osservato che non è tanto il terapista non-duale che integra l’essere ma piuttosto ne viene assorbito,
e quindi la presenza viene esaltata e questo può essere contagioso:
“quando siamo in Presenza di un individuo che si è risvegliato dal sogno
del “me” possiamo sentire un’assenza di pretenziosità, una chiarezza luminosa, una trasparenza, gioia e rilassatezza d’essere”.
….Il
cilente così scopre che i suoi problemi erano tutti il risultato e
l’espressione compensatoria di questa difesa contro quello che a prima
vista sembra essere un’annichilazione e che, nel tempo, si rivela come
amore incondizionato. “Ogni cosa viene abbracciata e accettata semplicemente così come è e mentre il risveglio si approfondisce, la mente giudicante perde la sua presa e l’attenzione diventa sempre più innocente, intima e impersonalmente affettuosa”.
Durante
il processo terapeutico viene toccato il nucleo della contrazione del
sé separato del cliente e la risonanza empatica tra cliente e terapista
aiuta a guarire il dolore della separazione. Il terapista che ha
lasciato andare l’attaccamento al sé separato conosce la pace e la
libertà di vivere senza attaccamento a qualunque storia su come le cose sono o dovrebbero essere.
L’attaccamento di Linda al sé
Lo
studio del seguente caso mostra come il problema della contrazione del
sé possa venire elaborato nelle sedute di psicoterapia. Linda, che si
avvicinava alla trentina, partecipava a uno dei primi gruppi di terapia
dell’autore e aveva fatto progressi sostanziali nell’abbracciare quello
che è e nel muoversi verso l’essere. Era stata spinta alla
terapia transpersonale dopo avere sperimentato stati alterati di
coscienza e intensi movimenti energetici nei chakra. Durante una
sessione di gruppo, mentre stava assimilando l’insegnamento, cominciò a
provare una profonda onda di energia che l’attraversava e lei le
resisteva. Mi scrisse:
“Ho
iniziato a sentire e a visualizzare un’onda scura che rotolava e
ruotava come una marea dentro di me. Mentre iniziava a staccarsi dallo
sfondo e a mettersi in evidenza nella mia coscienza ho avuto una
sensazione sempre più profonda che resisterle e resistere a quello che
rimestava e portava alla superficie mi avrebbe solo dato più anni di
lotte, e io di lotte ne avevo avute abbastanza. Il mio insegnante ha
pronunciato la parola “molla!” (in inglese anche “goccia”, drop NdT).
Ho sentito letteralmente una goccia dentro di me e tutto è cambiato
agli occhi della mente. Lentamente ho visto che qualcosa stava cambiando
sul foglio di carta. Come sbuffi di inchiostro su una brocca d’acqua il
colore ha iniziato a penetrare lentamente nel foglio formando
un’immagine. Guardando l’immagine ho iniziato a vedere che era un
autoritratto della figura che stava guardando, ma che non la stava
dipingendo lei perché non c’era nessuno, stava solo accadendo lentamente
per conto suo.
Era
come se i miei pensieri fossero una voce narrante per questa parte dove
la figura era l’attrice. Come a un segnale lei, a questa realizzazione
girò la testa verso di me facendomi venire un brivido. Non aveva nessun volto. Nulla. Priva
di espressione, priva di carattere, priva di personalità e di identità,
il suo volto non era nulla. Fu un momento di completo orrore perché fu
soltanto allora che seppi che quella figura era me.
“Chi
diavolo sta guardando questo?” pensai “se quello è me?” La faccia
naturalmente non disse nulla, nemmeno telepaticamente. Stava solo
guardando me, chiunque fosse questo “me”. Le cose iniziarono a farsi
veramente intense. Pensai che ero un osservatore non rilevato, non
sapevo che lei sapesse che stavo guardando ed era come se me lo
comunicasse con quello strano gesto di girarsi verso di me come nulla.
Cominciai a chiedermi chi fosse realmente l’osservatore…”.
In questa esperienza Linda era rimasta shockata per la breccia del non-sé che si era aperta dentro di lei e l’incapacità
della mente a capire che cosa stesse accadendo. Aveva sentito una
perdita di orientamento e di centratura in cui non poteva riconoscersi.
Sentiva come se stesse perdendo la testa. La invitai ad arrendersi, a
smettere di cercare di salvarsi e di arrendersi all’esistenza. Linda
doveva lasciar andare l’intero show della sua esistenza separata perché
l’opporsi le creava solo sofferenza
Quando
lo studente finalmente si stabilizza in questa esperienza di vuoto
manchevole (deficient emptiness), accogliendolo senza giudizio, rifiuto o
reazioni, vede che è uno stato di non-sé, o, più specificamente, di non
identità. Quando sperimentiamo pienamente questo stato di sé non
identificato, si trasforma naturalmente e spontaneamente in una vastità
luminosa, una profonda spaziosità, un vuoto colmo di pace.
Mentre
Linda stava lì seduta era chiaro dal rilassarsi della sua energia che
stava lascandosi andare. Rimanemmo seduti lì nell’immobilità meditativa
del momento e poi Linda espresse sorpresa che l’arrendersi potesse
cadere istantaneamente, tutto in un momento. Risposi che il vero arrendersi accade nell’intensità del momento.
Poi
mi fece la domanda classica: “come posso mantenere questo stato?” Le
suggerii di vedere come si stesse ripetendo ancora l’aggrapparsi al sé
separato perché ora stava cercando di mantenere permanente questo stato
meraviglioso. “In realtà” dissi “ non c’è nulla che tu possa fare. Devi
solo arrendere tutta te stessa in ogni momento
L’arrendersi di momento in momento
“Il tempo trascorso da quel momento di intensa disperazione è stato piuttosto interessante. La
mia vita è diventata sempre più impregnata con questo senso di assenza
di significato mentre simultaneamente è diventata satura e arricchita. Cado sempre più profondamente nel momento e la sua intensità talvolta è così cruda (forse riferito all’assenza di concettualizzazioni? Ed è così che si manifesta la bellezza! N.d.T.) da farmi dimenticare quello che sto facendo e qualche volta il mio ego lo trova imbarazzante. Ma la bellezza è sempre più visibile ed è dappertutto e in ogni cosa.
La cosa che ho realizzato negli scorsi anni sulle esperienze
transpersonali e i vari livelli di coscienza è la loro impermanenza.
Cioè l’inevitabilità di arrendersi a quello che è con fede irremovibile nell’esistenza ancora e ancora, ogni volta”.
Papaji diceva che per lui non c’era una resa definitiva ma che, di fatto, si arrendeva in ogni momento fino al momento della sua morte fisica.
Anche
il Budda dovette scoprire che non esiste una realtà finale e che
l’arrendersi comporta l’aprirsi alla realtà relativa del momento e
arrendersi alla saggezza che incarna. Allo stesso modo Linda ha avuto
un’esperienza di coscienza non-duale e del lasciar andare il suo sé
separato, ma ora ha dovuto imparare ad abbracciare e a lasciar andare la
realtà relativa di ogni momento
Zen non-duale
Adyashanti
scrive di aver lavorato con tanti che hanno avuto esperienze di
profondo risveglio ma che incarnare quel risveglio nella vita quotidiana
è una sfida molto più difficile. La nostra tendenza umana a scivolare
indietro nei comportamenti tipici del sé separato coi suoi attaccamenti
può essere enorme. Non esiste un rifugio conclusivo, permanente,
tuttavia l’invito a lasciarci andare ci ammicca in ogni momento…e
ancora, nel prossimo momento.
Paradoxica: Journal of Nondual Psychology, Volume 1: Spring 2009
Commento:
dopo tanto cercare anche i neuro scienziati e molti psicoterapeuti
intuiscono che il “soggetto” in realtà non esiste. O perlomeno soggetto e
oggetto sono parte dello stesso riflesso in cui ai nostri occhi appare
la realtà. O che tutto è alternativamente un unico soggetto impersonale
in cui tutto avviene in sé o una realtà oggettiva dove il soggetto nasce
e viene riassorbito come temporanea illusione. Siamo all’inizio di una
fase dove il risveglio smette di essere una fenomeno eccezionale, di
nicchia per allargarsi anche ai non “seri ricercatori” (secondo la
definizione di Andrew Cohen). E allargandosi la coscienza risvegliata
diventa sempre più accessibile e il salto meno eccezionale e drammatico.